Summa theologiae, Ia pars, questio 84

 

ARTICOLO 1

Se l’anima umana conosca gli enti corporei mediante l’intelletto

 

     Si sostiene la tesi negativa con i seguenti argomenti:

1.     L’autorità di Agostino, che afferma nel secondo libro dei Soliloquia che i corpi non possono essere conosciuti dall'intelletto... Nel De genesi ad litteram afferma inoltre che la visione intellettuale riguarda enti che per loro essenza si trovano nell'anima. Non trattandosi di enti corporei,si conclude che l'anima non può conoscere i corpi mediante  l'intelletto.

2.     Lo stesso rapporto che c’è tra organi di senso e cose comprensibili con l’intelletto esiste tra l’intelletto e le cose che possono essere colte dai sensi. Ma l'anima non può in nessun modo conoscere con i sensi le cose spirituali, che possono essere colte con l’intelletto. Ne consegue che essa non potrà assolutamente conoscere con l'intelletto gli enti corporei, che possono essere colti attraverso i sensi.

3.     L'intelletto ha per oggetto enti necessari e non sottoposti al cambiamento. Invece gli enti corporei sono tutti soggetti a cambiamento. Dunque l'anima non può conoscere i corpi mediante l'intelletto.

 

 

TESI CONTRARIA:

 La scienza è prerogativa dell'intelletto. Dunque, se l’intelletto non conosce i corpi, ne conseguirebbe che nessuna scienza potrebbe esserci dei corpi, e così risulterebbe che non esiste una filosofia della natura che ha come proprio oggetto l’ente in movimento.

 

 

RISPOSTA:

Per meglio definire la natura del problema bisogna ricordare che i primi filosofi, che indagarono sulla natura delle cose, pensavano che tutti gli enti fossero corporei. E poiché vedevano che tutti i corpi sono mutevoli, e ritenevano che tutte le cose fossero in un flusso continuo , ritenevano che non fosse possibile raggiungere una conoscenza certa della natura delle cose. Infatti non si può conoscere con certezza quello che è in mutamento perenne, perché muta aspetto prima che si possa emettere un giudizio, come diceva Eraclito, per quanto riporta Aristotele nel libro IV della Metafisica, che non è possibile toccare due volte la stessa acqua corrente di un fiume.

 Platone,poi, per salvare la certezza della nostra conoscenza intellettuale, introdusse, accanto a questi enti corporei, un altro tipo di enti, separato dalla materia e dal cambiamento, che definiva specie o idee; ogni ente singolare e sensibile è tale, ad esempio uomo o cavallo, grazie alla partecipazione di questi enti separati. Su questa base Platone affermava che le scienze, le definizioni e tutto quello che riguarda le operazioni dell’intelletto, non si riferiscono ai corpi sensibili, ma ad entità immateriali e separate. L'anima dunque non conosce tramite l’intelletto gli enti corporei, ma i loro modelli (species) separati.

Ma ciò è falso per due ragioni. Primo, perché, dal momento che quei modelli sono immateriali e immobili, si eliminerebbe dalla scienza  e la conoscenza del movimento e della materia (due elementi che caratterizzano le scienze naturali), e quelle dimostrazioni che partono dalle cause motrice e materiale. 

Secondo, perché è ridicolo che nella ricerca della conoscenza di cose che ci sono evidenti, facciamo ricorso ad altri enti, che non possono essere loro aspetti sostanziali, avendo un altro modo di essere. Così, anche conoscendo tali sostanze separate, non sarebbe possibile avere una conoscenza delle cose sensibili.

Sembra che Platone abbia sostenuto una posizione falsa, per il fatto che, pensando che alla conoscenza si perviene attraverso una somiglianza (per modum alicuius similitudinis), credeva che la forma dell'oggetto conosciuto si trovi necessariamente nel conoscente e nell'oggetto conosciuto in uno stesso modo. Riteneva che la forma della cosa conosciuta si trova nell'intelletto in una condizione universale, immateriale e immobile (universaliter, immateialiter, immobiliter), forse a ciò indotto dal modo di operare dell’intelletto, che conosce in modo universale e secondo qualche necessità, dal momento che le modalità dell’azione seguono le caratteristiche formali dell’agente. Su questa base ritenne che le cose conosciute debbano avere una tale ontologia, e cioè una loro esistenza separata, di tipo immateriale e senza possibilità di subire cambiamenti.

Ora, questa posizione non è sostenibile (hoc autem non est necessarium), dal momento che anche nelle cose sensibili la forma si trova in modo diverso nei singoli soggetti. (La bianchezza, ad esempio, in qualche ente è più intensa rispetto ad altri; in qualcuno si accompagna con la dolcezza, in altri no). Allo stesso modo la forma sensibile ha un diverso modo di essere nelle cose che sono fuori dell'anima e e in quelle che sono nei sensi, che ricevono le forme delle cose sensibili senza materia… Così anche l'intelletto riceve secondo una modalità che non prevede alcuna materia e alcun movimento, seguendo le modalità con cui opera, le specie dei corpi, che sono nella materia e soggette al movimento. Infatti la cosa ricevuta si trova nel soggetto ricevente secondo le modalità che contraddistinguono la natura del ricevente. - Dobbiamo dunque sostenere che l'anima, mediante l'intelletto, conosce i corpi attraverso l’intelletto mediante un tipo di conoscenza che è immateriale, universale e necessaria.

 

RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI:

1. L’autorità di S. Agostino va interpretata, come se il riferimento fosse a ciò di cui l'intelletto si serve per conoscere, e non alle cose che conosce. L'anima, infatti, conosce i corpi non attraverso corpi, o immagini (similitudines) materiali e corporee, ma attraveso le specie (species) immateriali e intellettuali, che per la loro natura si possono trovare nell'anima.

2.  Come afferma S. Agostino nel libro 22 del De civitate Dei, non si deve affermare che l'intelletto conosce solo le cose spirituali, allo stesso modo in cui i sensi conoscono soltanto le cose corporee, dal momento che ne conseguirebbe che Dio e gli angeli non conoscono le cose materiali. La ragione della diversità nei due tipi di conoscenza è piuttosto da ricercarsi nel fatto che la potenza inferiore non può estendere le sue operazioni all’ambito proprio di una facoltà superiore; ma quella superiore può svolgere in modo più perfetto le operazioni delle potenze inferiori.

3. Si deve rispondere che ogni movimento rimanda a qualcosa di immobile: quando, infatti, si verifica un cambiamento qualitativo la sostanza rimane immutata; e quando cambia la forma sostanziale, cioè si ha una corruzione,è la materia che non subisce cambiamento. Anche  tra le cose soggette a mutazione esistono dei rapporti immutabili: p. es., sebbene Socrate non stia sempre seduto, pure è immutabilmente vero che quando egli siede rimane fermo in un dato luogo. Per questo niente impedisce che si abbia una scienza necessaria (immutabilem) di enti sottoposti al cambiamento.

 

 

ARTICOLO 2

Se l’anima conosce gli enti corporei attraverso la propria essenza

 

LA TESI FAVOREVOLE AD UNA SOLUZIONE AFFERMATIVA SI BASA SUI SEGUENTI ARGOMENTI:

1.     S. Agostino afferma nel X libro del De trinitate che l'anima "comprende le immagini dei corpi formate in se stessa a partire da se stessa, dal momento che dà qualche cosa della sua sostanza per formarle". Ma essa conosce gli enti corporei per mezzo delle immagini dei corpi. Dunque conosce gli esseri corporei mediante la propria essenza, da essa offerta per formare tali immagini, che forma a partire da se stessa.

2.     Aristotele nel III del De anima afferma che "l'anima in un certo senso è tutte le cose". Ora, dal momento che un oggetto è conosciuto soltanto mediante un ente simile, ne risulta che l'anima conosce gli oggetti materiali mediante se stessa.

3.     L'anima, inoltre, è superiore alle creature materiali.  Gli esseri inferiori esistono in modo più perfetto in quelli superiori che in se stessi, come insegna Dionigi. Dunque tutte le creature materiali si trovano nell'essenza stessa dell'anima in modo più perfetto di quello che non lo siano in se stesse. Quindi l'anima conosce le creature materiali attraverso la propria essenza.

Argomenti IN FAVORE DELLA TESI  CONTRARIA:

Sostiene S. Agostino nel libro IX del De trinitate che "la mente raccoglie le sue cognizioni relative alle cose materiali attraverso i sensi del corpo", mentre l'anima non è conoscibile per mezzo di questi sensi. Dunque essa non può conoscere gli esseri materiali mediante la propria essenza.

 

RISPOSTA:

Gli antichi filosofi ritenevano che l'anima conosce i corpi attraverso la propria essenza. Infatti era universale convinzione che una cosa è conosciuta mediante una cosa simile. Si credeva che la forma della cosa conosciuta si trovasse nel soggetto conoscente allo stesso modo in cui si trova nella realtà. I platonici erano di opposto avviso. Platone infatti, essendosi reso conto del fatto che l'anima intellettiva è immateriale e che conosce a prescindere dalla materia, ritenne che le forme delle cose conosciute sussistessero(subsistere) separate dalla materia. Al contrario i filosofi naturalisti, ritenendo che le cose conosciute sono corporee e materiali, sostenevano che esse devono esistere con la materia anche nell'anima che le conosce e, quindi, per rendere possibile all'anima la conoscenza di tutte le cose, le attribuirono una natura comune a tutte, e cioè materiale. E poiché la natura dei corpi composti risulta dai principi elementari, attribuirono all'anima la natura di questi principi, in tal guisa che chi riteneva il fuoco principio costitutivo di tutte le cose, affermò che l'anima ha la natura del fuoco… Così, ponendo che le cose esistono materialmente nell'anima, ritennero che ogni nostra conoscenza è materiale, incapaci di distinguere l'intelletto dai sensi.

 

Ma questa posizione va confutata.

 

Primo, perché nel principio materiale di cui essi parlavano, i corpi che traggono da esso il fondamento (principiata) esistono solo in potenza, e niente è conosciuto per quello che esso è in potenza, ma soltanto per il fatto di essere in atto, come spiega Aristotele nel libro 9 della Metafisica; la stessa potenza  non può essere conosciuta se non tramite l'atto. Così, dunque, non sarebbe sufficiente attribuire all’anima la natura dei principi degli oggetti conosciuti (in questo caso il principio materiale), per renderne possibile la conoscenza, se non fossero  presente in essa in atto le nature e le forme dei singoli effetti, come ad esempio l’osso, la carne etc…

 - In secondo luogo, perché, nell’ipotesi che una cosa per esser conosciuta deve esistere materialmente nel conoscente, non vi sarebbe motivo per negare che abbiano la conoscenza gli esseri materialmente sussistenti fuori dell'anima: se, p. es., l'anima conosce il fuoco mediante il fuoco, anche il fuoco che è fuori dell'anima dovrebbe conoscere il fuoco.

 

  Ne consegue dunque che gli enti materiali oggetto della conoscenza intellettuale non possono esistere nel conoscente, con la materia, ma piuttosto in modo immateriale. E la spiegazione di ciò è da cercarsi nel fatto che l'atto del conoscere si estende alle cose che sono esterne al soggetto conoscente; noi, infatti,  conosciamo anche le cose che sono fuori di noi. Inoltre attraverso la materia la forma si determina a qualcosa di unitario. E da ciò risulta evidente che conoscenza  e condizione materiale hanno caratteristiche opposte. Gli enti quindi che ricevono le forme solo materialmente sono privi del tutto di conoscenza, come le piante, come afferma Aristotele nel II libro del De anima. Invece quanto un essere possiede la forma della cosa conosciuta in modo immateriale, tanto più perfetta è la sua conoscenza. Per cui l'intelletto, che astrae le specie non solo dalla materia, ma anche dalle condizioni materiali che rendono l’oggetto tale (principio di individuazione), conosce in modo più perfetto degli organi di senso, che ricevono la forma della cosa conosciuta senza la materia, ma ancora con le condizioni materiali. Tra i sensi la vista è dotata di maggiore conoscenza, perché meno materiale… E tra le diverse intelligenze tanto più una è perfetta, quanto più è immateriale.

  Da tutto ciò consegue che, se esiste un intelletto capace di conoscere tutte le cose mediante la propria essenza, questa essenza deve contenere tutte queste cose in se stessa in maniera immateriale; allo stesso modo in cui gli antichi ritenevano che l'essenza dell'anima fosse composta dei principi elementari di tutte le cose corporee, per poterle conoscere tutte. Questo è proprio solo di Dio, che ha nella propria essenza tutte le cose in modo immateriale, in quanto gli effetti devono preesistere potenzialmente (virtute) nella loro causa. Dunque Dio solo conosce tutto mediante la propria essenza; non così l'anima umana e neppure l'angelo.

 

 

  RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI (RISPOSTA AFFERMATIVA AL QUESITO):

1.     S. Agostino si riferisce alla visione dell’immaginazione, che avviene mediante immagini corporee. Nel formare tali immagini l'anima utilizza qualche cosa della sua sostanza, allo stesso modo in cui una sostanza viene informata. In questo modo essa fa tali immagini a partire dalla sua sostanza, e non per il fatto che l'anima, o parte di essa, si trasformi in modo da diventare questa o quell'immagine; ma allo stesso modo in cui si dice che un corpo diventa colorato quando viene informato da un colore. Una tale interpretazione risulta dal contesto….

2.     Aristotele non sostenne che l'anima è composta in atto da tutte le cose, come volevano gli antichi naturalisti, ma disse che "l'anima è, in certo qual modo, tutte le cose", cioè in quanto è in potenza a tutte le cose: col senso a quelle sensibili, con l'intelletto a quelle intelligibili.

3.Al terzo argomento si deve dire che ogni creatura ha un essere finito e determinato. Per cui l'essenza di una creatura superiore, benché abbia una certa somiglianza con quella inferiore(per il fatto di essere nello stesso genere), tuttavia non ha questa somiglianza in modo completo, perché è determinata a una data specie, diversa da della creatura inferiore. Invece l'essenza di Dio è immagine perfetta di tutte le cose e di quanto in esse si trova, essendo egli la causa universale di ogni essere.

 

 

ARTICOLO 3

 

Se l’anima conosca tutte le cose attraverso idee innate

 

 

 

     ARGOMENTI A SOSTEGNO DI UNA RISPOSTA AFFERMATIVA:

1.     Dice S. Gregorio nell’ Omelia per l’Ascensione che "l'uomo ha in comune con gli angeli il conoscere". Ora, gli angeli conoscono tutte le cose attraverso idee innate. Per cui nel Liber de Causis si legge che "ogni intelligenza è piena di forme". Dunque l'anima possiede le specie delle cose innate, con le quali conosce gli esseri corporei.

2.     Inoltre, l'anima intellettiva è più nobile della materia prima. Quest'ultima è stata creata da Dio provvista di quelle forme alle quali è in potenza. Dunque, a maggior ragione l'anima umana è stata creata da Dio provvista di specie intelligibili. E in tal modo l'anima conosce le cose materiali attraverso specie innate.

3.     Nessuno, inoltre può pronunciarsi se non su ciò che conosce. Ma anche un ignorante, privo di scienza acquisita, risponde con verità alle singole domande, purché venga interrogato con metodo, come afferma Platone nel Menone. Perciò un uomo possiede la conoscenza delle cose prima d'acquistarne la scienza, il che sarebbe impossibile, se l'anima non avesse delle idee innate (species naturaliter inditas). Dunque l'anima intende le cose materiali mediante tali specie innate.

 

 

IN CONTRARIO:

Aristotele nel III del De anima, parlando dell'intelletto, dice che è come una tavoletta in cui non c'è scritto niente".

 

RISPOSTA:

La forma è il principio dell’operazione, è necessario che un essere si trovi ad avere verso la forma, principio della sua operazione, lo stesso rapporto che ha verso quella operazione. come, per esempio, se il tendere verso l'alto è operazione tipica della leggerezza, è necessario che tutto ciò che si muove verso l'alto solo potenzialmente sia solo potenzialmente un corpo leggero, e ciò che attualmente si muove verso l’ alto sia in atto leggero. L'uomo qualche voltà è solo in potenza al conoscere, sia per quanto riguarda la conoscenza sensitiva, sia per quella intellettiva. Il passaggio all’atto avviene grazie all'azione degli oggetti sensibili sui sensi; e avremo conoscenza vera e propria attraverso argomenti. Per cui si deve affermare che l'anima conoscitiva è in potenza sia alle immagini sensibili che sono all’origine della sensazione, sia a quelle che sono all’origine dell' intellezione. Per tale motivo Aristotele sostenne che l'intelletto, col quale l'anima conosce, non ha specie innate, ma è all’inizio in potenza a tutte le specie intelligibili.

 

     Ma dal momento che si potrebbe dare il caso che un ente, dotato attualmente di una forma, non può agire a causa di un impedimento qualsiasi… Platone pensò che l'intelletto umano è per natura dotato di tutte le specie intelligibili, e che è piuttosto l'unione col corpo a impedirgli di passare all'atto.

     Ma una tale soluzione non è sostenibile.

Primo, perché, se l'anima ha una conoscenza innata di tutte le cose, non sembra possibile che cada in un oblio di questa conoscenza innata, tale da non sapere persino di possedere una tale conoscenza. Nessuno infatti dimentica quello che conosce per natura, per esempio che il tutto è maggiore della sua parte, e altri principi del genere. Questa soluzione è ancora più insostenibile, se si concede che per l'anima è naturale essere unita col corpo, come abbiamo già dimostrato. E' assurdo infatti che l'operazione naturale di un ente venga totalmente impedita da una proprietà che le è propria per natura.

In secondo luogo, l’erroneità di tale soluzione risulta evidente dal fatto che, quando viene meno la funzionalità di un organo senso, viene meno la scienza di quelle cose che sono percepite per mezzo di esso; così il cieco nato non può avere alcuna nozione dei colori. Ora, questo non si verificherebbe, se nell'anima i concetti di tutte le cose intelligibili fossero innati.

- Dobbiamo dunque concludere che l'anima non conosce gli esseri materiali servendosi di idee in essa innate.

    

 

RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI:

 1. L'uomo ha in comune con gli angeli la conoscenza, ma non ne eguaglia la potenza dell’intelletto. Allo stesso modo i corpi inferiori, che secondo S. Gregorio, sono i soli ad esistere materialmente, sono ben lontani dal modo di esistere dei corpi superiori. Infatti la materia dei corpi inferiori non è del tutto attuata dalla forma, ma è in potenza rispetto alle forme che non ha; invece la materia dei corpi celesti è completamente in atto grazie alla forma, a tal punto che non è più in potenza ad altre forme.… Così l'intelletto angelico è perfettamente attuato dalle specie intelligibili,  secondo la sua natura, mentre quello dell'uomo è in potenza ad esse.

     2.La materia prima riceve l'essere sostanziale dalla forma; e perciò è necessario che fosse creata sotto una data forma, altrimenti non avrebbe potuto esistere in atto. Tuttavia, nello stesso momento in cui è sotto una data forma è in potenza ad altre forme. L'intelletto invece non esiste a livello di  sostanza grazie alle specie intelligibili; quindi si tratta di casi diversi.

     3.L'indagine fatta con rigore procede dai principi universali per sé noti, alle conclusioni particolari. Secondo un  tale procedimento ha origine la scienza nell'anima di colui che apprende. Perciò, se egli risponde in modo veritiero a queste domande, ciò non dipende dal fatto che ne avesse una conoscenza anteriore, ma perché ha acquisito una conoscenza nuova (de novo). Infatti non è rilevante che l'insegnante  proceda dai principi comuni alle conclusioni nella sua esposizione o nella sua interrogazione: in entrambi i casi, infatti, l'intelletto di chi apprende perviene alla conoscenza certa delle nozioni che seguono sulla base di quelle che precedono.

 

 

ARTICOLO 4

 

     Se le idee derivino nell'anima dalle forme separate.

 

ARGOMENTI IN FAVORE DI UNA SOLUZIONE AFFERMATIVA:

1.     Ogni essere, che possieda per partecipazione una certa qualità, dipende da colui che la possiede per essenza; così un oggetto infuocato dipende dal fuoco. Ora, l'anima intellettiva, nell'atto di conoscere, partecipa degli oggetti intelligibili; infatti l'intelletto che conosce attualmente è in qualche modo l'oggetto pensato. Perciò quello che di per sé e per essenza è conosciuto attualmente, è causa della conoscenza attuale dell'anima. Ma le forme che sussistono indipendentemente dalla materia sono essenzialmente oggetto attuale di conoscenza, dunque le specie intelligibili, cui ricorre l'anima per conoscere, sono causate dalle forme separate.

2.     Gli intelligibili, inoltre, stanno all'intelletto, come i sensibili ai sensi. ma, le cause delle immagini sensibili che si trovano nei sensi, e con le quali sentiamo, sono i corpi sensibili esistenti fuori dell'anima. Dunque le specie intelligibili, con le quali il nostro intelletto conosce, sono causate da enti intelligibili in atto esistenti fuori dell'anima. E questi non sono altro che le forme separate dalla materia. Perciò le forme intelligibili presenti nel nostro intelletto derivano dalle sostanze separate.

3.     Tutto ciò che è in potenza passa all’atto per l’azione di  un essere che è già in atto. Se quindi il nostro intelletto, inizialmente in potenza, passa alla conoscenza attuale, è necessario che questo passaggio sia causato da un'intelligenza sempre in atto. Ma tale ente è un intelletto separato. Dunque le specie intellegibili attraverso le quali conosciamo dipendono dalle sostanza separate.

 

IN CONTRARIO:

Se le cosse stessero così non avremmo bisogno dei sensi per conoscere. Ma che ciò sia falso risulta ben chiaro dal fatto che chi è privo di un certo organo di senso in nessun modo può avere conoscenza degli oggetti propri di quel senso.

 

 

RISPOSTA:

Alcuni ritennero che le specie intelligibili del nostro intelletto derivino dalle forme o sostanze separate.

Abbiamo in proposito due opinioni.

Platone, come già si è detto, pose l’esistenza di forme sussistenti senza materia come forme delle cose sensibili; p. es., la forma dell'uomo la chiamava "l'uomo per se ", la forma o l'idea del cavallo che chiamava "il cavallo per se", e così via. E credeva che queste forme separate vengono partecipate sia dall'anima dei singoli sia dalla materia corporea: dall'anima nostra per la conoscenza, dalla materia per l'esistenza. In modo tale che, come la materia diventa questa data pietra per il fatto che partecipa dell'idea della pietra, così il nostro intelletto conosce la pietra perché partecipa dell'idea della pietra. La partecipazione poi dell'idea si attua attraverso una somiglianza dell'idea stessa (per aliquam similitudinem ipsius ideae) in colui che la partecipa, allo stesso modo che un modello viene partecipato dalla sua copia. Come dunque riteneva che le forme sensibili che si trovano nella materia derivino dalle idee quali loro similitudini, così pensava che le specie intelligibili del nostro intelletto fossero similitudini delle idee, derivanti da quest’ultime. Per tale motivo, come si è già detto, affermava che riportava le scienze (gnoseologia) e la natura delle cose (ontologia) alle idee.

     Ma poiché, come Aristotele dimostra a più riprese, è contro la natura stessa delle cose sensibili che le loro forme sussistano senza la materia, Avicenna, abbandonando una tale soluzione, ritenne che le specie intelligibili di tutte le cose sensibili non sussistono per se senza materia, ma preesistono in modo immateriale nelle intelligenze separate. Esse cioè sarebbero state partecipate dalla prima intelligenza alla seconda, e così di seguito fino all'ultima intelligenza separata che egli chiama intelletto agente.Da esso pervengono (effluunt) alle anime nostre le specie intelligibili, e alla materia le forme delle cose sensibili.

Avicenna perciò concorda con Platone nel porre che le nostre specie intelligibili derivano (effluunt) dalle forme separate. Mentre però Platone le ritiene sussistenti per se stesse, Avicenna le colloca nell'intelletto agente. Differiscono ancora su un altro punto: Avicenna ritiene che le specie intelligibili non restano nel nostro intelletto quando esso non conosce in atto, e quindi esso è obbligato a rivolgersi di nuovo all'intelletto agente per riceverle una seconda volta. Perciò Avicenna non difende la conoscenza innata nell'anima come fa Platone, che ritiene che la partecipazione delle idee rimane perpetuamente nell'anima.

      Sulla base di questa soluzione, non è possibile trovare una ragione sufficiente per giustificare l'unione dell'anima col corpo. Non si può affermare, infatti, che l'anima intellettiva si unisce al corpo per il corpo (propter corpus), dal momento che neppure la forma è per la materia, né il motore per il mobile; piuttosto è vero il contrario.

Il motivo principale per cui il corpo si dimostra necessario all'anima intellettiva è la sua operazione specifica, vale a dire l’atto conoscitivo, visto che per l’esistenza non vi è alcuna dipendenza dal corpo. Ma se l'anima avesse per natura l'attitudine a ricevere le specie intelligibili esclusivamente dall’azione delle sostanze separate, senza ricavarle dai sensi, non avrebbe bisogno del corpo per la conoscenza; e quindi la sua unione col corpo sarebbe inutile.

     E se si controbatte che l'anima nostra ha bisogno per conoscere dei sensi, da cui in qualche modo sarebbe stimolata a considerare quelle cose di cui riceve le specie intelligibili dalle sostanze separate, l’argomento non è sufficiente. Per il fatto che un tale stimolo non è necessario all'anima se non perché essa, a dire dei platonici, è come assopita e in preda all’oblio a causa della sua unione col corpo. Di modo che i sensi non gioverebbero all'anima intellettiva se non  per rimuovere gli impedimenti derivanti dalla sua unione col corpo.

Resta dunque sempre da chiarire quale sia la causa dell'unione tra l'anima e il corpo.

     E se con Avicenna si affermasse che i sensi sono necessari all'anima, affinché possa essere stimolata a rivolgersi all'intelletto agente da cui riceve le idee; anche questa soluzione non è sufficiente, perché, se l'anima per sua natura conoscesse attraverso le specie provenienti (effluxas) dall'intelletto agente, ne consegue che essa potrebbe anche rivolgersi a tale intelletto, vuoi seguendo la sua inclinazione naturale, vuoi sotto lo stimolo sensibile, per ricevere le specie di quegli enti sensibili di cui non si ha percezione. E in tal modo un cieco nato potrebbe avere la conoscenza dei colori: cosa evidentemente falsa.

- Si deve dunque concludere che le specie intelligibili, attraverso le quali l'anima umana conosce, non derivano dalle forme separate.

 

 

     RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI:

1. Le specie intelligibili partecipate dal nostro intelletto derivano come da cuasa prima da un primo principio di natura essenzialmente intelligibile, cioè da Dio. Ma esse derivano da tale principio mediante le forme delle cose sensibili e materiali, a partire dalle quali è formata la nostra scienza, come afferma Dionigi….

     2.Gli enti materiali, secondo l'esistenza che hanno nella realtà, possono essere sensibili in atto, ma non certo  intelligibili in atto. Dunque il rapporto tra gli enti sensibili e quelli intellegibili non è proprio.

     3.Il nostro intelletto possibile passa dalla potenza all'atto grazie ad un ente che è in atto, cioè all'intelletto agente, che è una facoltà della nostra anima…, e non grazie ad un intelletto separato, almeno come causa prossima, anche se non è impossibile come causa remota.

 

 

 

 

 

ARTICOLO 5

 

     Se l'anima intellettiva conosca le cose materiali nelle idee eterne.

 

ARGOMENTI IN FAVORE DI UNA RISPOSTA NEGATIVA:

1.     Il mezzo nel quale è conosciuta una cosa deve essere già esso stesso anteriormente e maggiormente noto rispetto a ciò che è conosciuto in esso. L'anima intellettiva dell'uomo, nello stato della vita mortale, non conosce le idee eterne, poiché non conosce neppure Dio, nel quale si trovano le ragioni eterne; ma secondo Dionigi nel primo capitolo della Teologia mistica, l’anima si unisce a Lui come a uno sconosciuto. Dunque l'anima non conosce tutte le cose nelle idee eterne.

2.     Si afferma in Rom. 1,20 che "le cose invisibili di Dio sono rivelate dagli eventi". Tra le cose invisibili di Dio sono da annoverare le idee eterne. Quindi le idee eterne sono conoscibili attraverso le creature materiali, e non viceversa.

3.     I modelli eterni non sono altro che le idee, come afferma S. Agostino nell’opera Octoginta tres quaestiones: "Le idee sono i modelli immutabili delle cose presenti nella mente divina".  Se si sostiene che l'anima intellettiva conosce tutto nelle idee eterne, si ricade nella soluzione di Platone, che riteneva che ogni nostra conoscenza deriva dalle idee.

 

IN CONTRARIO:

Afferma S. Agostino nel libro XII delle Confessioni che "se tutte e due vediamo che è vero quanto dici tu, e che è vero quando dico io, dov'è che lo vediamo? Certamente né io in te, né tu in me; ma entrambi lo vediamo nella stessa immutabile verità, che è al disopra delle nostre menti". Ma la verità immutabile si trova nelle idee eterne, dunque l'anima intellettiva conosce ogni verità nelle idee eterne.

 

 

RISPOSTA:

Come afferma S. Agostino nel secondo libro del De doctrina christiana: "se coloro che sono chiamati filosofi hanno qualche insegnato cose vere e conformi alla nostra fede, noi dobbiamo rivendicarle ai fedeli in Cristo come bene proprio e legittimo. Le dottrine dei pagani contengono errori (figmenta) e superstizioni, che ciascuno di noi, rinunciando al paganesimo, deve evitare". Per questo S. Agostino, che si era formato alle scuole dei platonici, quando trovava nei loro scritti delle cose conformi alla fede, sene appropriava, mentre modificava  migliorandolo quanto vi trovava di contrario alla fede. Platone, come si è visto sopra, riteneva che le forme delle cose, che chiamava idee, sussistessero per se stesse, separate dalla materia e credeva che il nostro intelletto conosce tutte le cose attraverso la partecipazione di esse. Allo stesso modo in cui la materia corporea è una pietra grazie alla partecipazione dell'idea-pietra, secondo Platone il nostro intelletto conosce la pietra mediante la partecipazione della medesima idea.

Ma poiché è contraria alla fede la teoria secondo la quale le forme delle cose sussisterebbero separate da esse e prescindendo dalla materia, come volevano i platonici, i quali, come afferma Dionigi nel capitolo 11 del De divinis nominibus, sostenevano che "la vita per se stessa", o la "sapienza per se stessa", fossero sostanze creatrici; per questo motivo S. Agostino nel libro Octoginta tres quaest.,  affermò che nella mente divina esistono, non tanto le idee platoniche, quanto i modelli (rationes) di ogni cosa creata, e che a partire da tali modelli tutti gli esseri ricevono la loro forma, e l'anima nostra conosce tutte le cose.

     Perciò quando si domanda se l'anima umana conosce tutto nei modelli eterni, bisogna precisare che due sono i sensi in cui si dice che una cosa è conosciuta in un'altra. In primo luogo, come in un oggetto conosciuto; come chi vede in uno specchio le cose che vi si riflettono. In questo modo l'anima, nello stato della vita mortale, non può vedere le cose nei modelli eterni; questo è piuttosto il modo in cui tutte le cose sono conosciute nei modelli eterni dai beati, che vedono Dio, e in Lui tutte le cose.

- In secondo luogo, si dice che una cosa è conosciuta in un'altra in quanto quest'ultima ne è il principio di conoscenza; come se dicessimo che si vede nel sole quanto si vede per mezzo del sole. In questa accezione si deve dire che l'anima conosce tutto nei modelli eterni, dal momento che è grazie alla loro partecipazione che conosciamo tutte le cose. La stessa luce intellettuale che è in noi, infatti,  non è altro che una similitudine depotenziata e partecipata della luce increata, in cui sono contenute le idee eterne. Perciò nei Salmi si legge: "Molti dicono: chi ci farà vedere il bene?"; alla quale domanda  il Salmista risponde: "la luce del tuo volto, o Signore è immessa su di noi come un sigillo". Come per dire che  tutte le cose ci sono mostrate mediante il sigillo della luce divina che è in noi.

     Tuttavia, poiché oltre la luce intellettuale che è in noi,  per poter conoscere le cose materiali, sono necessarie anche le specie intellettive ricevute dalle cose, non possiamo conoscere le cose materiali esclusivamente attraverso la partecipazione delle idee eterne, come volevano i platonici, secondo i quali la sola partecipazione delle idee è sufficiente alla conoscenza. Per cui S. Agostino afferma nel 4 libro del De trinitate: " i filosofi, che insegnano con argomenti certissimi che tutte le cose caduche sono fatte secondo le idee eterne, hanno forse potuto capire in queste medesime idee quanti siano i generi degli animali e quali i semi dei singoli esseri? Non ottennero forse tali conoscenze attraverso un’indagine a partire dagli enti materiali?".

     Che poi S. Agostino, col dire che tutte le cose sono conosciute "nelle idee eterne", o "nella verità incommutabile", non abbia voluto affermare che queste idee sono conosciute direttamente, è chiaro da quanto scrive egli stesso nel libro Octoginta tres quaest., in cui afferma che  "non ogni anima ragionevole, ma solo quella che è stata santa e pura", come è quella dei beati, "è capace di quella visione", cioè della visione nelle idee eterne.

    

E su questa base risultano chiare le risposte da dare agli argomenti iniziali favorevoli ad una risposta negativa

 

 

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ARTICOLO 6

 

     Se la cognizione intellettiva derivi dalle cose sensibili.

 

ARGOMENTI FAVOREVOLI AD UNA RISPOSTA NEGATIVA:

1.     S. Agostino dice nel libro Octoginta tres quaest.  che "la pura verità non si ottiene partendo dai sensi". E lo prova in due modi. Primo, sulla base del fatto che "quanto è oggetto dei sensi corporali è in continuo mutamento; e ciò che non permane non può essere colto dalla percezione". Secondo, sulla base del fatto che "possiamo avere l'impressione delle immagini di tutto ciò che sentiamo mediante il corpo, anche quando le cose non sono presenti ai sensi, p. es., nel sonno o nella pazzia; non possiamo, infatti, stabilire partendo dalla conoscenza sensibile se effettivamente percepiamo le cose sensibili, oppure delle immagini fallaci. Niente può essere percepito, se non è possibile distinguerlo da ciò che è falso". Da ciò S. Agostino conclude che non si deve ricercare la verità dalla conoscenza sensibile. Ma attraverso la conoscenza intellettiva si può cogliere la verità. Dunque non dobbiamo aspettarci dalla conoscenza  sensibile la conoscenza intellettiva.

2.     S. Agostino dice inoltre nel 12 del De genesi ad litteram che "non si deve credere che il corpo possa agir sullo spirito, facendo sì che esso assuma il ruolo della materia, poiché chi agisce è, sotto tutti gli aspetti, superiore a chi subisce l'azione". Per cui conclude affermando che "non è il corpo a produrre l'immagine del corpo nello spirito, ma è lo spirito che la produce in se stesso". Dunque la conoscenza intellettiva non dipende dalle cose sensibili.

3.     L’effetto, inoltre, non può essere più grande della potenzialità della causa. Ora, la conoscenza intellettiva va oltre all’ambito del sensibile: abbiamo infatti conoscenza di cose non attingibili dai sensi. Dunque la conoscenza intellettiva non dipende dalle cose sensibili.

 

 

IN CONTRARIO:

Aristotele nel I libro della Metafisica e alla fine degli Analitici secondi dimostra che i sensi sono il principio di tutta la nostra conoscenza.

 

 

     RISPOSTA:

Su questo problema le soluzioni dei filosofi sono tre. Democrito, come afferma S. Agostino nella Epistola ad Dioscorum, ritiene che "l'unica causa di ogni nostra conoscenza consiste nel fatto che dai corpi, oggetto della nostra conoscenza, provengono le immagini ed entrano nelle nostre anime". Anche Aristotele nel De somno et vigilia dice che Democrito spiega la conoscenza "mediante immagini ed emanazioni".

- Il fondamento di questa teoria consiste nel fatto che sia Democrito, sia gli antichi naturalisti pensavano  che l'intelletto e i sensi non differissero sostanzialmente, come attesta Aristotele nel De anima. E per questo, poiché il senso viene alterato dall'oggetto sensibile, ritenevano che ogni nostra conoscenza avvenisse esclusivamente attraverso l'azione prodotta dalle cose sensibili. E Democrito riteneva che questa azione si effettui attraverso emanazioni di immagini (per imaginum defluxiones).

 Platone, al contrario, ritiene che l'intelletto è diverso  dal senso e che esso è una potenza immateriale, che nelle sue operazioni non si serve di un organo corporeo. E poiché ciò che è incorporeo non può essere modificato dalle cose corporee, ritiene che la conoscenza intellettiva non si verifica grazie ad una modificazione dell'intelletto causata dalle cose sensibili, bensì attraverso la partecipazione di forme intelligibili separate... Pensa anzi che anche il senso sia una facoltà capace di agire in modo autonomo, per cui neppure il senso, in quanto potenza immateriale, non può essere modificato dalle cose sensibili, ma sarebbero piuttosto modificati gli organi dei sensi, e da questa modificazione l'anima sarebbe in qualche modo spronata a formare in se stessa le specie delle cose sensibili (sed organa sensuum a sensibilibus immutantur, ex qua immutatione anima quodammodo excitatur ut in se species sensibilium formet). Sembra che ad una tale opinione accenni S. Agostino nel 12 libro del De genesi ad litteram, quando dice che "non è il corpo a sentire, ma l'anima per mezzo del corpo, del quale si serve come di un messaggero per formare in se stessa quanto le viene annunziato dal di fuori". Così, secondo la teoria platonica la conoscenza intellettiva non dipende dalla realtà sensibile; e neppure quella sensibile procede totalmente dalle cose sensibili; quest’ultime esercitano solo una funzione di stimolo a sentire, mentre gli organi di senso stimolano l'anima intellettiva a conoscere.

     Aristotele tiene una posizione intermedia. Ammette con Platone che l'intelletto è diverso dal senso. Ma non ritiene possibile che il senso possa avere la propria operazione a prescindere dal corpo; in modo tale che la sensazione non è un’operazione esclusivamente dell’anima, ma piuttosto del composto. E sostiene lo stesso di tutte le operazioni della parte sensitiva. E poiché non c’è alcuna incongruenza nell’ammettere che le cose sensibili, esistenti nella realtà esterna, producano un effetto su tutto il composto umano, Aristotele concorda con Democrito nel ritenere che le operazioni della parte sensitiva sono causate dalle impressioni delle cose sensibili sugli organi di  senso;  non però mediante emanazioni, come pensa Democrito, ma mediante determinate operazioni. Democrito infatti riteneva che ogni operazione fosse prodotta dal moto degli atomi (per influxionem atomorum), come risulta dal primo libro del De generatione di Aristotele. – Aristotele, tuttavia, riteneva che l'intelletto ha una sua operazione indipendentemente dal corpo. Infatti nessun ente corporeo può agire su di uno incorporeo. Perciò secondo Aristotele, non è sufficiente l'azione dei corpi sensibili a causare la conoscenza, ma si richiede qualche cosa di più nobile; perché "l'agente è sempre superiore al paziente"... Non si deve neppure, tuttavia, sostenere che la conoscenza è causata solo dall’azione di certi esseri superiori, come voleva Platone. Piuttosto l'agente superiore e più nobile, che Aristotele chiama intelletto agente, rende intelligibili in atto i fantasmi ricevuti attraverso i sensi con un’operazione che diciamo astrazione (per modum abstractionis cuiusdam).

     Sulla base di quanto è stato affermato, rispetto ai fantasmi l'operazione intellettiva ha origine dai sensi. Ma poiché i fantasmi non riescono ad agire sull'intelletto possibile, fa d’uopo che diventino intelligibili in atto grazie all'intelletto agente. Non si può affermare che la conoscenza sensibile è causa totale e perfetta della conoscenza intellettiva;  in un certo senso, essa è piuttosto la materia su cui la causa agisce.

    

 

RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI:

1.S. Agostino non vuole sostenere che la verità non risiede in modo totale nella conoscenza sensibile. Si richiede, infatti, l’illuminazione dell'intelletto agente per conoscere nelle cose mutevoli l'immutabile verità, e per distinguere la realtà delle cose dalle immagini di esse.

     2. In quel passo S. Agostino non parla della conoscenza intellettiva, ma di quella dell’immaginazione. Poiché secondo Platonica, l'immaginativa ha un'operazione che appartiene alla sola anima, S. Agostino, per dimostrare che i corpi non imprimono le loro immagini nell’immaginazione, ma che è piuttosto l'anima  a compiere questa operazione, usa lo stesso argomento con cui Aristotele prova che l'intelletto agente è un'entità separata dalla materia; e cioè l’argomento secondo il quale "l'agente è sempre superiore al paziente". E non vi è dubbio che, secondo questa teoria, bisogna ammettere nell'immaginativa non solo una potenza passiva, ma anche una attiva. Ma se ammettiamo con Aristotele che l'atto della immaginativa appartiene al composto umano, non ne segue alcuna difficoltà dal momento che il  corpo sensibile è al disopra degli organi sensitivi dell'animale, per il fatto che rispetto ad essi è come un ente in atto rispetto a un ente in potenza; esattamente nello stesso rapporto in cui un corpo colorato in atto  è in rapporto alla pupilla, che è colorata solo potenzialmente. - Si potrebbe anche rispondere diversamente, dal momento che, sebbene la prima modificazione dell'immaginativa risulta dall'azione degli oggetti sensibili, essendo appunto "la fantasia un moto che ha origine dal senso", come dice Aristotele nel terzo libro del De anima, tuttavia c’è nell'uomo un'operazione intellettuale, che attraverso il discorso affermativo e quello negativo, forma varie immagini anche di cose non colte dai sensi. Il passo di S. Agostino potrebbero riferirsi a questa attività.

     3.La conoscenza sensitiva non è la causa totale di quella intellettiva. Non fa quindi meraviglia che questa vada oltre alla sfera di quella sensitiva.

 

 

ARTICOLO 7

 

     Se l'intelletto possa avere conoscenza attuale attraverso le specie intelligibili che già possiede, senza rivolgersi ai fantasmi.

 

     ARGOMENTI FAVOREVOLI AD UNA SOLUZIONE POSITIVA DEL QUESITO:

1.     L'intelletto, infatti, passa dalla potenza all’atto per mezzo della specie da cui è informato. Ma l'intelletto in atto non è che la conoscenza intellettuale stessa. Dunque per avere una conoscenza attuale sono sufficienti le specie intelligibili, senza che si  rivolga ai fantasmi.

2.     L'immaginazione dipende dai sensi in modo maggiore, di quello che dipende l'intelletto dall'immaginazione. Ma  questa può compiere la sua operazione in assenza degli oggetti sensibili. A più forte ragione quindi l'intelletto può conoscere senza rivolgersi ai fantasmi.

3.     Non esistono, inoltre,  fantasmi degli esseri immateriali, poiché l'immaginazione ha proprietà spazio-temporali. Se dunque il nostro intelletto non potesse avere una conoscenza attuale senza volgersi ai fantasmi, ne conseguirebbe che non potrebbe conoscere gli enti immateriali. E ciò è chiaramente falso, visto che conosciamo e la verità stessa e Dio e gli Angeli.

 

IN CONTRARIO: Aristotele insegna che "l'anima niente conosce senza i fantasmi".

 

 

RISPOSTA: E' impossibile che il nostro intelletto nella condizione presente in cui è unito a un corpo passibile, possa avere una conoscenza attuale senza rivolgersi ai fantasmi. Ne abbiamo due prove. La prima: poiché l'intelletto è una facoltà che non fa uso per la sua operazione di un organo corporeo, in nessun modo verrebbe impedito nella sua operazione da una lesione di qualche organo corporeo…. Ma usano organi corporei i sensi, l’immaginazione, e le altre facoltà della parte sensitiva. E' evidente perciò che l'intelletto per passare dalla potenza all’atto ha bisogno dell'immaginazione e delle altre facoltà non solo nell'acquisto di nuove conoscenze, ma anche nell'uso della scienza acquisita. Vediamo infatti che quando è vittima di una lesione all’immaginazione – come avviene per i frenetici – oppure della memoria, l'uomo è reso incapace di operare, anche rispetto a quello che ha già conosciuto

- La seconda: ognuno può sperimentare in se stesso che quando si sforza di conoscere qualcosa, predispone delle immagini sensibili a mo’ di esempio, nei quali poter trovare aiuto nella comprensione. E lo stesso avviene quando vogliamo spiegare una cosa a un altro e gli proponiamo degli esempi, dai quali egli possa formarsi delle immagini che facilitino la conoscenza.

La ragione di ciò è che la potenza conoscitiva deve essere proporzionata all'oggetto conoscibile. Per cui, oggetto proprio dell'intelligenza angelica, totalmente separata dal corpo,  sono le sostanze intelligibili, separate dalla materia e per mezzo di esse l'angelo conosce anche le cose materiali. L’oggetto proprio dell’intelletto umano, unito al corpo, è la quiddità o natura che esiste nella materia; e attraverso la conoscenza di queste cose visibili l’uomo  può giungere alla conoscenza anche di quelle invisibili. Tipico di queste quiddità o nature è esistere in qualche ente corporeo individuale, cosa che non può prescindere dalla materia. Così è proprietà essenziale della forma della pietra l’esistenza in una pietra particolare; e quella del cavallo richiede l’esistenza concreta in un dato cavallo, e così via. Per cui non si può conoscere in maniera completa e vera la natura della pietra o di qualsiasi altro ente materiale, se non si conosce nella sua esistenza particolare e concreta. Noi conosciamo il particolare attraverso i sensi e l'immaginativa. Perciò, affinché l'intelletto possa conoscere attualmente il proprio oggetto, è necessario che si rivolga ai fantasmi per conoscere la natura universale esistente in ogni essere particolare. - Se invece oggetto proprio del nostro intelletto fossero le forme separate, oppure se le nature delle cose sensibili avessero una loro esistenza a prescindere dagli esseri particolari, come volevano i platonici, non sarebbe necessario che il nostro intelletto, ogni volta che conosce si volga sempre ai fantasmi.

 

RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI:

1. Le specie che si conservano nell'intelletto possibile, quando non c'è conoscenza attuale, sono degli abiti…. Per cui, alla conoscenza attuale non è sufficiente la presenza delle specie suddetta, ma è necessario ricorrerci a seconda degli enti di cui sono le specie; specie che esistono solo nei particolari.

2.Il fantasma stesso è un'immagine della cosa particolare; perciò l'immaginazione non ha bisogno, come l'intelletto, di un'altra immagine del particolare.

3.Gli enti immateriali, di cui non esistono i fantasmi, sono conosciuti da noi per analogia (per comparationem) con i corpi sensibili, di cui abbiamo i fantasmi. Allo stesso modo conosciamo la verità nel considerare un oggetto qualsiasi che cerchiamo di conoscere in modo veritiero: conosciamo Dio, ad esempio – come dice Dionigi - come causa prima, per via di eminenza e di negazione; e anche le altre sostanze immateriali, nella condizione presente, non possiamo conoscerle se non per via di negazione, o per una certa analogia col mondo dei corpi. E dunque, anche quando abbiamo una qualche conoscenza di tali oggetti, che pure non hanno fantasmi che li rappresentino, dobbiamo rivolgerci ai fantasmi.

 

 

ARTICOLO 8

 

  Se l'atto intellettivo del giudizio sia impedito dal cattivo funzionamento dei sensi.

 

ARGOMENTI FAVOREVOLI AD UNA SOLUZIONE NEGATIVA:

1.     Ciò che è superiore non dipende da ciò che è inferiore. Ma il giudizio intellettivo è superiore alla sensazione. Dunque il giudizio dell’intelletto non può essere ostacolato dal cattivo funzionamento degli organi sensibili.

2.     Il processo dimostrativo (sillogizare) è operazione dell'intelletto. Nel sonno i sensi non assolvono alla loro normale funzione (ligantur), come afferma Aristotele nel De somno et vigilia; e tuttavia può accadere talvolta che uno sillogizzi nel sonno. Dunque il giudizio dell’intelletto non viene impedito dal cattivo funzionamento dei sensi.

 

IN CONTRARIO:

Come dice S. Agostino nel dodicesimo libro del De genesi ad litteram, non si considerano peccaminose le azioni contro la morale compiute nel sonno. Così non sarebbe, se l'uomo nel sonno avesse l’uso della ragione e dell'intelletto. Dunque l'uso della ragione è impedito dal cattivo funzionamento dei sensi.

 

 

RISPOSTA:

Come si è già detto, oggetto proprio, commisurato alle possibilità  del nostro intelletto è la forma degli enti sensibili, e non si può emettere un giudizio perfetto su una cosa se non si conosce tutto quello che ad essa è pertinente, e soprattutto se non si conosce quello che è il termine e il fine del giudizio. Infatti Aristotele nel terzo libro del De caelo rileva che "come l'opera è il fine delle scienze pratiche, così il fine delle scienze naturali è principalmente ciò che si coglie con i sensi": il fabbro, cioè, si interessa alla conoscenza del coltello al solo scopo di produrre questo determinato coltello; allo stesso modo il filosofo naturale studia la forma della pietra o del cavallo per conoscere i fondamenti (rationes) degli enti sensibili. Risulta evidente che il  giudizio del fabbro relativamente al coltello non sarebbe adeguato (perfetto in latino), se non conoscesse le procedure per farlo; lo stesso vale per il giudizio della filosofia naturale relativamente agli enti naturali, se si ignorassero gli enti sensibili. Ma tutto ciò che l’uomo nel presente stato conosce, è conosciuto per analogia dalle cose sensibili naturali. E' dunque impossibile all’uomo formulare un giudizio intellettivo adeguato (perfectum), quando i sensi non funzionano come dovrebbero, dal momento che è attraverso di essi che conosciamo la realtà sensibile.

 

 

RISPOSTA AGLI ARGOMENTI INIZIALI:

 1. Anche se l'intelletto è superiore al senso, riceve le informazioni dai sensi (accipit aliquo modo a sensu), e il suo oggetto primo e principale ha origine dal mondo sensibile. E per questo è giocoforza che il suo giudizio venga impedito dal cattivo funzionamento dei sensi.

2. Come dice Aristotele nel De somno et vigilia la  sensibilità  nei dormienti è quasi sospesa (ligatur), a causa di evaporazioni ed esalazioni. Per cui, a  seconda della natura di tali evaporazioni, i sensi possono essere più o meno impediti. Infatti, quando il movimento di questi vapori è intenso, viene impedita non solo la sensibilità, ma anche l'immaginazione, fino al punto che non vengono formati i fantasmi, il che si verifica in chi comincia a dormire dopo aver mangiato e bevuto smodatamente. Se poi tale moto è più debole, i fantasmi sono formati, ma in modo distorto e disordinato, come avviene nei febbricitanti. E se il movimento di tali vapori è quasi inesistente, i fantasmi sono prodotti in modo ordinato, come suole accadere, soprattutto alla fine del sonno, alle persone sobrie e dotate di forte immaginazione. Se poi tale moto è ancora più debole, allora non solo resta libera l'immaginazione, ma anche il senso comune funziona pressoché in modo normale; e così qualche volta nel sonno si può giudicare che quanto vede è un sogno, avendo in qualche modo la possibilità di distinguere la realtà dalle apparenze.  Il senso comune, tuttavia, in parte rimane impedito; e quindi, pur  distinguendo in generale tra realtà e apparenza, qualche volta s'inganna.  In tal modo il giudizio dell’intelletto è libero proprio come lo sono i sensi e l'immaginativa in chi dorme, e cioè mai completamente. Per cui chi sillogizza nel sonno, quando è risvegliato ammette sempre di aver commesso qualche errore.